Sulla sabbia spazzata dal vento di una spiaggia tormentata dal dolore e dalla vendetta, Mualla si avvicina a Zeliş con la furia calma di una donna con l’anima distrutta. Suo figlio non c’è più e nel suo cuore c’è una sola soluzione: Zeliş deve pagare. Ogni passo di Mualla è un verdetto, i suoi occhi bruciano in una tempesta di urla silenziose. Stringe nella mano tremante una pistola: non solo un’arma, ma l’incarnazione di ogni notte insonne, di ogni lacrima versata per il suo figlio perduto, Beram.

Zeliş è paralizzata, con gli occhi spalancati, radicata nel terrore. La voce le manca, ma l’istinto no. Con la disperazione che le artiglia il petto, estrae una pistola, le mani tremanti, il cuore che batte come un tamburo di guerra. Ma non è un’assassina. Lo sa lei, e lo sa anche Mualla. Con un ghigno di crudele consapevolezza, Mualla non sussulta nemmeno. Sfida Zeliş a premere il grilletto, sapendo benissimo che la giovane donna non lo farà. E ha ragione.

In un lampo, una delle guardie di Mualla disarma Zeliş. La pistola colpisce la sabbia. Quel momento – la sua ultima possibilità – è svanito. Mentre Mualla raccoglie l’arma, Zeliş cade in ginocchio, tremante, distrutta e sconfitta. Con la pistola ora puntata alla tempia, Zeliş si prepara alla fine. Le sue labbra tremano in una preghiera, silenziosa e vana.

Ma poi – uno sparo squarcia l’aria.

E un altro.

Zeliş sussulta, certa che la morte sia arrivata, ma è ancora viva. Mualla ha sparato… verso il cielo.

Due colpi di avvertimento. Due urla di agonia che l’universo stesso sembra udire. Zeliş rimane accovacciata nella sabbia, le lacrime che scorrono libere, il corpo che trema come una foglia in una tempesta. Mualla abbassa lentamente la pistola. La sua furia non si è placata, ma per ora non ha premuto il grilletto. Non ancora.

Poi, come una forza della natura, arriva la madre di Zeliş, a piedi nudi, in preda al panico e implacabile. Si getta ai piedi di Mualla, piangendo, implorando, offrendo la propria vita in cambio di quella della figlia. Bacia la terra, grida con ogni cellula del suo corpo. Non è più una donna: è una madre trasformata in una preghiera.

Ma il volto di Mualla è impassibile. È di pietra. Giudice. Boia. La pistola rimane alzata.

La spiaggia diventa un quadro di tragedia: una donna in ginocchio, un’altra sul punto di scatenare la vendetta. Il mare si placa, il vento si placa. La natura stessa trattiene il respiro.

E poi il silenzio si interrompe: tre auto nere appaiono rombando, le gomme che fendono la sabbia come il destino che si abbatte. Quattro uomini armati, in abiti scuri, con equipaggiamento tattico, armi puntate e pronte, balzano fuori. Circondano Mualla e le sue guardie, chiedendo che Zeliş venga risparmiata, insistendo che giustizia, non vendetta, verrà fatta.

Il mondo si ribalta. Zeliş la fissa incredula, incerta se sia stata salvata o se sia stata semplicemente trasferita in una nuova prigione. Mualla è intrappolata in una morsa. Il suo potere, un tempo assoluto, ora è messo a dura prova. La squadra armata non lascia dubbi: non può premere il grilletto.

Eppure, esita ancora.

La pistola rimane alzata.

Il nome di Beram le risuona nelle orecchie. La sua anima soffre. Il suo dito aleggia sul grilletto come se quel singolo movimento potesse restituirle tutto ciò che ha perso.

Intorno a lei, il mondo la osserva. L’aria trema di tensione. Una mossa sbagliata e tutto esplode.

Ma ora… la scelta è solo sua.