Il silenzio dell’ospedale viene spezzato da un allarme improvviso: le macchine collegate a Beran segnalano la sua morte cerebrale. La decisione più difficile spetta a Oilum: donare o no i suoi organi? Ma quando Mualla lo scopre, esplode in un urlo carico di veleno: “Non hai nemmeno il diritto di decidere!” – insinuando che Oilum non conosce neanche la verità sulle sue origini.
Güzide, messa alle strette, è costretta a confessare tutto: chi è il vero padre di Oilum, cosa è successo in quel lontano luglio del 1998. Ogni parola è come una lama. Oilum, devastata, fugge. Cammina per la città come un fantasma, incapace di respirare, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore frantumato. Güzide la rincorre, e nel loro abbraccio sul lungomare, finalmente la verità viene a galla.
Nel frattempo, all’ospedale, Mualla arriva disperata. Grida, accusa, si scaglia contro tutti. Si rifiuta di accettare la morte del figlio. Poi, senza avvisare nessuno, prende una decisione shockante: rapisce Beran, ancora attaccato alla macchina, e lo porta via con l’aiuto di medici privati e l’autista. Nessuno se ne accorge. Nella villa, lo nasconde in una stanza segreta.
Beran è lì, tra la vita e la morte, tenuto in vita solo da un filo sottile di speranza. Mualla veglia su di lui giorno e notte, ignorando ogni consiglio medico. Per lei, finché il cuore di un figlio batte, non è finita. Anche se tutto il mondo lo ha già seppellito.
Intanto la famiglia si disgrega. Umit accusa Yesim e Ilknur di approfittare della situazione, mentre Zelis difende sua madre con forza e minaccia di andarsene. Ozan si scaglia contro Güzide, incapace di accettare di avere una sorellastra. Ma tutto questo non conta più. La verità ha già stravolto tutto.
Nella stanza nascosta della villa, Mualla tiene stretta la mano fredda di Beran, parlandogli con dolcezza, come se potesse sentirla. Un miracolo: è tutto ciò a cui si aggrappa. Nessuno deve sapere che lui è ancora vivo. Non ancora.